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Le spighe si tagliavano con la falce

La stézzë e la stòzzë

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Non penso che avrei scritto l’articolo in calce se non fossi stato sollecitato da Angelo Angelucci , padre di Giuseppe e Veronica, gestori del ristorante “Da Italia”, i quali in occasione del Festival di “Cibo e comicità” (organizzato dal presidente dell’Associazione “Terra e Cuore” Antonio Cilli e dal Comune di San Salvo), hanno partecipato con uno stand denominato “La stezze e la stozze”. Il cibo ha costituito nel corso dei secoli lo specchio delle condizioni di vita della società. Nel passato l’alimentazione costituiva un grande problema; produzione di cibo e conservazione rappresentavano qualcosa di impegnativo rispetto ai giorni nostri. Le rese dei campi erano molto inferiori, da un quintale di semente di cereali si ottenevano circa 3 quintali di cereali (ai tempi nostri se ne ottengono trenta). L’alimento base era la pasta e il pane fatti in casa. La carne si mangiava soltanto nei giorni di festa (Pasqua, Natale, San Vitale). Durante la tréschë, l’alimentazione aveva un ruolo notevole. Nei mesi di giugno e luglio i braccianti agricoli e i contadini che non potevano affrontare senza operai il lavoro della mietitura, andavano verso le due del mattino a contrattare con i mietitori sdraiati sul selciato della Pòrtë de la Térrë, provenienti dai paesi limitrofi ed anche dalle Puglie. I mietitori ingaggiati iniziavano a lavorare alle prime luci dell’alba e terminavano dopo il tramonto del sole. Lavoravano come bestie. Il sudore grondava dai volti magri e scavati dal sole. All’arrivo ( primo mattino) ricevevano lu muccicàllë o vivitìccë, consistente in pane e olio, pane e formaggio pecorino, pane e frittata con i peperoni e le patate, fette di pane con la salsiccia, vendricina e sprisciàtë. Verso le 10 arrivava la stòzzë consistente in baccalà fritto, pézzë de grandénië, pane e frittata di patate e peperoni, pane e formaggio, pane e laccio (sedano) bagnati all’olio. Le gole dei mietitori venivano rinfrescate dal buon vène còttë (vino cotto salvanese). Era il momento de la stézzë (goccia). Verso le 12, la patràhunë (padrona del campo) portava lu mezzë jùrnë (il mezzogiorno). La consistenza del pasto dipendeva dalle condizioni familiari dei padroni: pasta e fagioli, gnocconi con sugo rosso di papera o di agnello, coniglio in umido con i peperoni, patate ripiene con uova, pane e formaggio, spezzatino di castrato, pollo fritto, salsicce, ventricina, taralli “lessi”. Lu trùffìlë (orcio) riempito con vino cotto passava di mano in mano e irrorava quelle gole arse. Il primo a bere era il caporale. Fàtte na stèzzë Giuvà!.., fàtte na vivitìccë Nicò…pàsse ssu triffùlë Vità… Verso le cinque del pomeriggio arrivava lu llandë pë llandë (una specie di stozze) consistente in pane e frittata di peperoni e uova, fagiolini lessati e conditi con pomodoro e menta, frittata con uova e patate, zucchine e patate, turtàréllë, stòzzë di saggéccë (salsiccia tagliata a pezzi) pezzi di ventricina, pizza di farina di granoturco, patate sotto coppa, insalata di pomodoro con l’aglio, il prezzemolo e basilico. La sera, i mietitori stanchi e accaldati, dopo un lungo cammino, andavano a sdraiarsi sotto la Porte de la Terra; la giacca faceva da guanciale. Qualche ora di dormiveglia ed era l’inizio di una nuova alba. Si ricominciava a falciare le spighe.
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