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Il monachesimo benedettino e la chiesa di Sant’Angelo in Salavento

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Il territorio del basso Trigno è rimasto per circa mille anni sottoposto all’autorità di abati e monaci, benedettini e poi cistercensi, che, fedeli alla regola dell’Ora et Labora, l’hanno dissodato, bonificato e reso ricco di produzioni agro-pastorali nonché di attività artigianali e commerciali collegate. La prima influenza del monachesimo benedettino risale almeno ai secoli VII-VIII, quando le grandi abbazie di Montecassino e di Farfa, ben strutturate, cominciarono a far sentire il loro peso anche sul versante adriatico della penisola. I benedettini cassinesi, ricevendo beni e possedimenti in diverse contrade dell’attuale agro di Montenero di Bisaccia (Pietrafracida, Ripamale, Montebello e Piscoli) vi crearono alcuni piccoli conventi; e, nel 972, quando un gruppo di termolesi venne a fondare il casale di Ripaorsa, estesero ulteriormente il controllo su questo territorio. Nel periodo compreso tra il 998 e il 1047, Montecassino disponeva di ben sette possedimenti alla destra del Trigno, nella zona che andava dall’area ad ovest di Montenero al mare Adriatico e dal corso del Trigno a quello del torrente Tecchio. Alla sinistra del Trigno, prima ancora che si affermasse la potenza di S. Vincenzo al Volturno, le fondazioni benedettine di S. Sefano di Rahòne (dal 747) a sud di Vasto e di S. Maria in Valle (dall’829) a nord di Vasto si trovarono soggette a S. Sofia di Benevento o a S. Maria di Farfa. E farfense fu senza dubbio nella prima fase anche la cella benedettina, più tardi monastero, di Sant’Angelo in Salavento, il più antico cenobio - stando ai documenti di cui finora disponiamo - sorto sul territorio di San Salvo. La “natura curtense” di Salavento è attestata nei privilegi imperiali degli anni 829 (Ludovico il Pio), 840 (Lotario) e 981 (Ottone); mentre nulla sappiamo di una cappella o chiesetta, certo ugualmente altomedievale, dedicata a San Martino e situata all’estremità della Piana della Chiesa, nella contrada appunto ancora chiamata “Colle Martino”. Andrew Slade e gli storici vastesi hanno a lungo situato il monastero di Sant’Angelo in Salavento al Casino Nasci (già Masseria dei Monaci) oppure nei pressi dell’attuale Stazione ferroviaria Vasto-San Salvo. Ma i ritrovamenti archeologici intorno San Salvo, con la scoperta dei resti della villa romana di via San Rocco, hanno chiarito anche quale fosse il sito di Sant’Angelo. Per gli archeologi, la chiesa altomedievale si sarebbe infatti sovrapposta esattamente a quella villa romana. L’intuizione è rafforzata dal ritrovamento di capitelli altomedievali in stile composito in tale luogo e dal fatto che dall’alto del poggio su cui sorgeva la villa è possibile dominare l’intera Piana Sant’Angelo; il cui nome, è evidente, ricorda l’antico possedimento del monastero, che approssimativamente andava da San Salvo al mare e dal vallone di Buonanotte ai cosiddetti “Colli” (la scarpata che scende verso la pianura fluviale del Trigno). Quanto alla localizzazione del casale di Salavento (toponimo tardoromano oppure longobardo?) sicuramente doveva sorgere tra l’area del monastero e la località Piano di Marco, contrade dove si evidenziano (oltre che necropoli di età imperiale romana) tombe sparse - coperte con pietre di fiume e assai povere nei corredi - risalenti al periodo a cavalcioni dell’anno Mille. Ancora attestata in documenti del 994, del 1023 e del 1059 come appartenente a S. Vincenzo al Volturno, la chiesa (con il monastero) di Sant’Angelo in Salavento andò in crisi verso la fine dell’XI secolo, sia a causa delle lotte che avrebbero prodotto la riunificazione dell’Italia meridionale sotto i Normanni sia per gli effetti della rinascita economica e civile che avrebbe affermato nelle vicinanze la chiesa di San Salvo (oggi di San Giuseppe), probabilmente cassinese, sorta nell’area urbana della decaduta e abbandonata città romana di San Salvo e divenuta fiorente nel XII-XIII secolo. La fondazione dell’abbazia cistercense di San Vito del Trigno, intorno al 1257, avrebbe infine completato il quadro dei principali insediamenti monastici nel basso Trigno, condizionandone peraltro le vicende storiche fino al 1776 (quando il feudo di San Vito venne acquisito dal Comune di San Salvo) e alla successiva quotizzazione delle terre demaniali, avvenuta nel corso dell’Ottocento.
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