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“Una mamma non può essere l'amica della figlia”

Parcheggi e la sala del Centro culturale Aldo Moro strapieni per ascoltare il prof. Giorgio Nardone

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Ieri 7 settembre, il prof. Giorgio Nardone, psicologo e psicoterapeuta, ha appassionato genitori, educatori, insegnanti e operatori sociali sulle varie dinamiche di comunicazione in ambito familiare.

Il convegno (organizzato dal Comune di San Salvo e dall'associazione Consorzio Cooperative Sociali SGS nell’ambito del Programma attuativo regionale per il Fondo per le aree sottoutilizzate2007-2013) è iniziato con due casistiche estreme (i suicidi e gli stupri) per le quali ciò che è sbagliato acquisisce un fascino particolare e le parole utilizzate dai mezzi di  comunicazione diventano come pallottole.

In famiglia la comunicazione è importantissima ma viene sempre sottovalutata: è considerata la forma e non la sostanza. 

In via teorica la famiglia è il posto più accogliente che esista ma nella realtà i delitti più efferati avvengono all’interno dei nuclei familiari.

La comunicazione per sua natura non è mai unidirezionale e produce sempre degli effetti sull’altro. La spontaneità nella comunicazione non esiste in quanto : si comunica ciò che si è appresso nell’arco della propria vita.

Nardone e un suo collega hanno effettuato uno studio su come è cambiata la comunicazione in famiglia negli ultimi venti anni. Prima vigeva un eccesso di rigidità che induceva a fenomeni di repressione. Ciò ha fatto scaturire nei ragazzi di allora (e genitori di oggi) il ragionamento: “non voglio che i miei figli subiscano quello che ho subito io”. E così dagli anni “70 si è passati ad un educazione eccessivamente “protettiva” e “permissiva”.

Si è entrati nella mentalità del risparmiare ai figli le difficoltà e le responsabilità fin dalla più tenera età (se un bambino cade anzichè lasciare che impari a rialzarsi da solo, lo si aiuta).

Se i figli crescono senza vivere le "difficoltà" non possono crescere in autostima e non sviluppano la consapevolezza delle proprie capacità e dei propri limiti.  Quando escono fuori dall’ambito famiglia si sentono degli incapaci e spesso sviluppano una personalità fobica.

Altrettanto dannosa è un'educazione troppo permissiva che mette sullo stesso piano genitori e figli: i genitori perdono autorevolezza e pertanto non sono in grado di aiutare i figli neanche in una situazione di bisogno. In questo contesto i figli si convincono di essere onnipotenti e intoccabili e quando escono fuori dall’ambito familiare si trovano persi. Una famiglia deve avere una struttura gerarchica in cui i genitori devono stare sempre al di sopra dei figli. Non è concepibile la mamma amica della figlia e/o il papà amico del figlio.

Spesso i genitori mantengono più lavori per consentire ai figli di mantenere uno status sociale al di sopra di quello consentito dal budget della famiglia. In questo contesto si crea sistematicamente un malcontento dei figli che si sentono comunque inadeguati e non apprezzano l’operato dei genitori.

Un altro meccanismo contorto della società contemporanea è quello dei giovani che giocano “a fare la famiglia” delegando ai nonni l’educazione dei propri figli e questo non per questioni di lavoro ma per non rinunciare al divertimento o alla semplice gestione del tempo. I nonni per natura sono iper-protettivi permissivi nei confronti dei nipoti.

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