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Parole d’Arte... la Villa Comunale

Il progetto dell’architetto Roberto Tiberio

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Dopo la realizzazione dell’opera di Pasquale Verrusio, esposta all’ingresso del Comune di San Salvo (leggi), il cammino verso la costruzione di una nuova identità culturale capace di amalgamare le tante anime di una città cresciuta forse troppo velocemente è continuato con l’ambizioso progetto di riqualificazione di un non-luogo: la villa comunale di San Salvo.

Il progetto di riqualificazione venne affidato all’architetto Roberto Tiberio e allo staff di professionisti che aveva riunito per curare al meglio tutti i dettagli di un intervento fortemente impattante e di così grande portata come quello immaginato. Un progetto che avrebbe trasformato, dal punto di vista urbanistico, l’area interessata e, dal punto di vista sociale, il modo di vivere quel luogo e di relazionarsi ad esso. Un giardino, con ogni probabilità, destinato a diventare patrimonio culturale della nostra città, prima, e bene culturale, poi.

L’idea di chi commissionò quel lavoro era quella di dare forma ad uno spazio pubblico pensato come risultato dello sviluppo industriale. Da un lato, si voleva porre maggiore attenzione sul fatto che San Salvo era diventata una città ospitale e, dall’altro, si voleva aggiornare e far proseguire il messaggio dell’opera di Verrusio aggiungendo i nuovi elementi di cambiamento che stavano interessando la storia del nostro territorio: lo sviluppo del settore terziario, la globalizzazione, la comparsa della nuova migrazione extracomunitaria.

L’architetto Tiberio con una battuta ha voluto puntualizzare che «l’artista fotografa la società, mentre l’architetto interpreta la società allo scopo di fondere e integrare il più possibile le esigenze oggettive (funzionali) con quelle più intime e recondite (psicologiche). Più è stretto il legame tra le due soluzioni, più la società e il territorio risultano integrati in un rapporto di mutuo scambio con l’opera stessa».
Da qui nasce il progetto sull’idea dell’integrazione: il sottile filo che gli avrebbe permesso di legare il tema dell’integrazione avvenuta nelle fabbriche, già rappresentata da Verrusio, con il nuovo tema dell’integrazione del capitale, sia umano sia economico, diretta conseguenza della globalizzazione. Questa idea di base è stata poi elaborata tenendo conto, da un lato, dell’assetto urbanistico del centro storico e, dall’altro, dei beni culturali già esistenti: il patrimonio archeologico del Quadrilatero e il patrimonio librario del Centro Culturale 'Aldo Moro'.

Il progetto della villa comunale diventò così, idealmente, il punto di collegamento tra il passato (il Quadrilatero) e il futuro (il Centro Culturale 'Aldo Moro'). Il punto di integrazione tra la storia, che rappresenta l’identità di una comunità, e la conoscenza, che rappresenta l’incontro e lo scambio con l’altro.

A questo punto, l’architetto si pose il problema della rappresentazione dello spazio e della comunicazione attraverso gli elementi simbolici. Così immaginò la villa come nuova porta d’ingresso alla città storica, al primo nucleo abitativo, e reinterpretando in chiave contemporanea l’idea della Porta della Terra pensò di giocare sui quattro elementi - terra, fuoco, aria e acqua - per dotare la città di quattro porte.

Dalla Porta della Terra, simbolo dell’identità culturale locale e della tradizione contadina, attraversando corso Umberto e via Roma si sarebbe giunti alla Porta dell’Acqua, la fontana monumentale della villa comunale, simbolo di apertura e di accoglienza per i nuovi venuti, che idealmente arrivavano dal mare. Proseguendo si sarebbe arrivati alla Porta dell’Aria, l’aquilone, simbolo di idee, innovazione e di società proiettata verso il futuro. Per giungere, infine, attraverso un ponte di collegamento, alla Porta del Fuoco: il Centro Culturale 'Aldo Moro', immaginato come la pietra filosofale, come «il fuoco della conoscenza» e come il centro di diffusione del sapere.

All’interno della villa è stato progettato un percorso circolare per ricordare, in una visione che pare ricalcare il moto ascensionale e inarrestabile dello Spirito hegeliano, la ciclicità dello scorrere del tempo e la ciclicità delle stagioni, che mutano così come mutano la conoscenza e la storia di una città e della comunità che la popola. A questo proposito è stato realizzato anche uno studio ad hoc per la scelta del verde, che non poteva essere casuale proprio perché il mutare delle stagioni doveva sottolineare l’idea del movimento ciclico, perpetuo e inarrestabile.

Altri elementi simbolici e fortemente evocativi del progetto sono il vetro (per ricordare la Pilkington, la fabbrica, il primo luogo d’integrazione), un giardino zen (per ricordare la comunità giapponese della Denso), un orto botanico tra il centro anziani e la scuola (un luogo didattico per tramandare ai giovani le culture agronomiche della tradizione), un laghetto con un trabocco stilizzato (per ricordare il mare e la costa dei trabocchi), un viale fiancheggiato da particolari sculture riflettenti (per ricordare la transumanza), una cupola che avrebbe dovuto sovrastare l’attuale struttura in legno del bar (per ricordare la maternità e il luogo dell’infanzia) e numerosi altri elementi, davvero troppi per essere elencati tutti.

Ad oggi questo interessante progetto è stato realizzato solo in parte e a macchia di leopardo. Nel tempo, inoltre, sono stati introdotti diversi elementi estranei (alberi sempre verdi come i pini, sculture ornamentali decontestualizzate, ecc.) che in nessun modo sembrano legarsi con il messaggio di fondo che quel luogo avrebbe voluto lanciare alla città e i suoi visitatori, i turisti. E se il messaggio immaginato all’inizio è stato quello dell’integrazione, il messaggio attuale è assai diverso perché ci racconta della convivenza indipendente e disordinata di opere belle, che non dialogano tra loro.

Foto di GIOMIX68

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