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In Maria tutto è accoglienza e recettività dell’agire di Dio

Commento al vangelo dell' Immacolata

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Il peccato non arresta il piano di Dio, anzi Dio lo trasforma in una promessa (cfr Gn 3,15) che attraversa la storia fino a compiersi nell’incarnazione del Figlio. In Cristo il Padre “ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi” (Ef 1,4-5).

Adamo ed Eva non hanno saputo accogliere questa gratuita iniziativa di Dio. In loro ha operato l’inganno della tentazione che li ha indotti a ritenere di dover conquistare, in modo autonomo e autosufficiente, ciò che Dio intendeva dare loro gratuitamente: l’essere per Lui figli santi e immacolati. Dopo il peccato Adamo ed Eva sono stati ancora tentati di percorrere la via dell’autonomia, senza affidarsi alla misericordia del Padre. Si sono nascosti e, scoprendosi nudi, hanno intrecciato foglie di fico per farne cinture (cfr Gn 3,7).

Dio invece ha intrecciato per loro una storia di salvezza: li ha rivesteti di tuniche di pelle (cfr Gn 3, 21) e ha promesso loro che, nella lotta contro il male che sempre insidia la vita umana, un figlio di donna, stirpe della sua stirpe, avrebbe conseguito la vittoria. “Dove sei?” (Gn 3,9), domanda Dio all’uomo peccatore. La risposta che Adamo non sa dare la darà Dio nell’Incarnazione del Figlio: siamo in Lui, nel Cristo. Essere in Cristo è uno dei temi più cari ricorrenti in Paolo ed emerge anche nel brano della lettera agli Efesini: “In lui” Dio ci ha benedetti, ci ha scelti, ci ha reso eredi…e sempre “in lui” si fonda la nostra speranza e sale al Padre la nostra benedizione e la nostra lode alla sua gloria.

Dove sei? Siamo in Cristo. Tale è anche il segreto della vita di Maria: Lei che si è lasciata totalmente rivestire dalla gratuità di Dio per dare carne a questa grazia che in Lei si fa persona e assume un volto umano: “Colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,35). Diversamente da Adamo ed Eva, che oppongono il loro progetto alla promessa di Dio, in Maria tutto è accoglienza e recettività dell’agire di Dio.

Maria viene chiamata con tre nomi. Il primo è quello con cui Gabriele la saluta: “piena di grazia”, che traduce un’espressione greca più ricca di sfumature (kecharitoméne). Maria è stata e rimane oggetto del favore divino. Si evidenzia l’agire divino in lei. Essere ricolma della grazia, prima che costituire una qualità di Maria, rivela l’atteggiamento di Dio nei suoi confronti, il suo modo di guardarla e di incontrarla. Infatti Dio non guarda Maria semplicemente con benevolenza, ma la trasforma in virtù di questo favore rendendola amabile.

Maria è l’amata da Dio e, in quanto amata, è totalmente rinnovata da questo amore. Il nome usata da Gabriele acquista così la sua pregnanza: da un lato sottolinea la gratuità dell’azione di Dio, dall’altra manifesta la recettività piena e cordiale da parte di Maria. Solo dopo averla salutata con il nome che viene da Dio, Gabriele la chiama anche con il nome datole dagli uomini. La verità della vita di ciascuno di noi sta nel modo che Dio ha di guardarci e chiamarci. Il nome umano è Maria. Se confrontiamo questa scena con il precedente annuncio rivolto a Zaccaria (cfr Lc 1,5-7.13) emerge una grande differenza.

Di Maria non si dice nulla, né della sua discendenza, né delle sue qualità morali, nulla neppure di un suo desiderio di maternità. L’unica realtà ricordata è la sua meraviglia. Due volte, con insistenza, il testo afferma che Maria è vergine (Lc 1,27-28). Tale condizione segnala ancora una povertà: viene annunciata una gravidanza a una vergine, vale a dire a una persona che sembrerebbe del tutto impari rispetto al compito affidatole. Nello stesso tempo questa verginità sottolinea la radicale apertura e  docilità di Maria all’agire di Dio.

Tutto in lei è povertà che si apre ad accogliere la potenza di Colui al quale nulla è impossibile (cfr Lc 1,33). Infine risuona un terzo nome che Maria stessa si dà in risposta al saluto dell’angelo: “Ecco la serva del Signore: avvenga di me secondo la tua parola” (Lc 1,38). Quello di Maria non è un semplice atto di obbedienza. È un modo peculiare di collocarsi davanti al Signore e di entrare nella giusta relazione con Lui.

L’angelo aveva salutato Maria annunciandole come Dio si relazionava con Lei: il Signore è con te, tu sei la piena di grazia, colei che Dio ama e trasforma nel suo amore. Rispondendo, Maria afferma a sua volta come desidera che sia la sua relazione con Dio: sono la “schiava” del Signore. Colei che in tutto dipende dalla sua Parola. Quello di Maria è un atto di fede prima ancora che di obbedienza. Il suo atteggiamento mostra il legame che sussiste tra fede e umiltà.

Non presume di sé; al contrario si domanda “come è possibile? Come posso io?; di conseguenza si affida, facendo della propria povertà e inadeguatezza lo spazio nel quale il Signore può manifestare la sua potenza. Come canterà nel Magnificat, Dio ha potuto compiere in Lei grandi cose, perché ha conosciuto l’umiltà, la piccolezza, il “niente” della sua serva. Dio agisce in Lei non a misura della sua piccolezza, ma a misura della grandezza del proprio amore.

 

Signore, concedimi di comprendere il mistero dell’Immacolata alla luce dei tre nomi, che tracciano anche per me una via di santificazione.

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