A ora di pranzo con un bicchiere di vino in mano mi sei esplosa nella mente. L'occasione me l'ha data un amico citando un proverbio che circolava tra i suoi parenti anziani. Diceva, tradotto in italiano, l'impedimento porta giovamento. Sai che non ci vuole poi molto per pensarti, lo faccio così spesso che è difficile che altri possano ispirarmi. Ma oggi, in quel momento, sono tornato immediatamente a casa tua di 20 anni fa. I tuoi libri, il tuo divano, i vinili, i cuscini, i tuoi goffi tentativi di cucinare qualcosa di commestibile, il Maurizio Costanzo Show, la sfida tv Berlusconi Vs. Occhetto. Ed i film di Ken Loach al cineforum. E discutere interi giorni di Nanni Moretti, W. Allen, e Lars von Trier con le sue onde del destino.
Ed ho pensato a quello stupido e dolce modo di dire che avevi quando eravamo a letto e non ti spogliavi mai completamente. L'ostacolo aumenta il desiderio, dicevi sbattendo le ciglia. Tutti quei momenti in cui riempivi il mio niente. Tutte le risate, i pianti, gli abbracci. Tutti i miliardi di caratteri che potrei ancora riversare parlando di te. Tutto. Tutto fino a quella sera. Fino a quella corsa folle verso l'ospedale dove hai deciso di lasciarmi senza neanche salutare. Quanto ti ho odiato per questo. Se tu sapessi poi quanto mi sono odiato e quanto mi odio ancora. E quella domanda che mi tormenterà a vita (che modo di dire bislacco) e se fossi arrivato 10 minuti prima?
Non ho mai creduto nella vita ultraterrena, a malapena credo in questa. Sono rimasto fuori dalla chiesa. I tuoi genitori non vollero un funerale laico come tu avresti sicuramente preferito. Non passo mai a trovarti al cimitero perché semplicemente non sei lì. Ma ora, ovunque tu sia (anche nei pensieri di chi ti ha visto una sola volta) vorrei dirti: il tempo che perdevamo insieme è stato il tempo che ho impiegato meglio.
L'impedimento di non poterti stringere tra le braccia non mi reca alcun tipo di giovamento.