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Lettera a mio papà

Il ricordo della professoressa Angiolina Balduzzi del suo papà Leone Baluzzi

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Ti scrivo perché a te piaceva leggere le mie pagine e scrivermene altrettante; conservo ancora tutte le lettere che mi inviavi in collegio a Chieti durante gli anni della scuola media, delle superiori e dell’Università a Perugia. Sempre mi consigliavi, mi informavi ma, soprattutto, senza che te ne accorgessi, mi alimentavi di un bene così grande da sentirne per tutta la vita il calore, l’efficacia, la forza e la gioia. Mi facevi sentire più brava, più bella e intelligente di quanto in realtà fossi, perché tu, sempre, vedevi con gli occhi di chi stravede in positivo tutto il creato. La tua religiosità era profondamente autentica, la tua bontà stragrande e la tua felicità consisteva nella stessa che donavi in modo diverso ed adeguato a tutto e tutti. 
Caro papà, tu eri unico, speciale, amato e rispettato dai piccoli e dai grandi, dai poveri e dai ricchi, dai politici di destra e di sinistra, intellettuali ed ignoranti, paesani e stranieri.
Ereditate da nonno Angelo, nel tuo DNA c’erano le cellule dell’arte e della musica, già rinomate in quella micro società Sansalvese degli anni ’30, quando la miseria era immensa e soltanto le feste locali e qualche artista giocoliere come Angelo Balduzzi, in mancanza di ogni altro intrattenimento mediatico, faceva divertire. Nonno Angelo, infatti, era un vero talento a tutto tondo e improvvisava in piazza, spettacoli o costumi racimolati senza un soldo. Come tuo padre, sei stato poeta del cuore, della natura e della fede, esprimendo in versi pensieri di un vero filosofo dell’anima. Tu, senza aver studiato la metrica, componevi strofe impeccabili, che cesellavano come tesori le tue intense emozioni indimenticabili ed ora immortali grazie alle canzoni che, con la tua musica, strappano lacrime di gioia ed alle poesie che sempre possiamo rileggere con infinite meditazioni. Tu eri la festa, tu eri ciò che di più bello per me esiste al mondo, perché, miracolosamente affogavi il male e la cattiveria nel bene di cui era impastato il tuo grande cuore. Sei rimasto per me ed Ivo, mio fratello, l’esempio del papà più generoso, più amabile e gioioso, corrispondente ad una vera fortuna sugellata da ricordi indimenticabili come la notte di Natale quando tu, ritualmente, prendevi dal nascondiglio il bambinello e a mezzanotte in punto, facendo finta che stesse nella culletta di paglia del presepe, ce lo porgevi dicendo ad alta voce “è nato, è nato!”. Eri capace di rendere grandioso il semplice, di annichilire ogni problema, ogni difficoltà, evidenziando sempre la grazia di Dio e l’aiuto del nostro Sant’Antonio a cui eri tanto devoto, unitamente alla Madonna delle Grazie ed alle anime del purgatorio. Ti ridevano gli occhi quando le persone mostravano affetto e rispetto e, puntualmente, venivi a casa felice ed orgoglioso, riferendo ogni particolare. 
La famiglia per te era al primo posto ed ogni ricorrenza costituiva una obbligata buona occasione, non solo pe i tuoi regali ma per le tue dediche affettuose ed augurali; dediche che, in infinite occasioni le persone ricevevano e che conservano come autentici tesori e sentimenti che non si dimenticano e che costituiscono ricordi indelebili e commoventi, spesso esposti ed incorniciati sulle pareti di tante case Sansalvesi dove tu, atteso protagonista, esibivi durante le ricorrenze più belle della esistenza e della vera amicizia.
Quando le forze cominciarono a mancarti e non potevi più uscire, il tuo palco delle relazioni e soddisfazioni sociali rimaste era il balcone, da dove salutavi ed intrattenevi tutte le persone che passavano, perché tutti conoscevi e a tutti sapevi esprimere, con le tue dolci parole o gesti, gioia di vivere ed armonia di intensa bontà e rispetto. Dal balcone aspettavi la processione del corpus domini con tutte le rituali azioni che da un secolo, prima con la tua mamma Vitalina e poi con la mia mamma Antonietta, seguivano alla lettera le sacre usanze dei petali di rose e delle più belle coperte esposte in onore dello Spirito Santo. Gli occhi della Madonna addolorata, nella processione del Venerdì Santo, erano rivolti verso il balcone e, puntualmente, tu ripetevi, con fede mai diminuita, che tale sguardo assicurava una speciale attenzione alla nostra casa. 
Le feste rendevano l’attesa più frizzante e quando la banda passava, le note della tua canzone, “Santi Salve belle”, creavano un’atmosfera straordinaria ed il tuo cuore batteva forte forte per te e per i veraci Sansalvesi ai quali tu hai lasciato un amore infinito.
Particolari ricordi di tale genere sono innumerevoli ed ogni giorno, ad uno ad uno, riaffiorano nella mia mente ed illudono la mia nostalgia che si trasforma in gioia pacata ma viva, perché tu continui ad essere vivo e a porgermi, come facevi quando io ed Ivo eravamo bambini, il fazzoletto che tiravi fuori dalla tasca per asciugare il nostro nasino raffreddato. Anche adesso, come spesso mi succede, mi viene da piangere, ma le lacrime non sono amare, perché esse bagnano i miei occhi che rivedono tutte le cose belle, buone, dolci, sapienti, festose, allegre, felici, poetiche, musicali, culturali, didattiche, sante e benedette come i tasselli dell’immenso tuo mosaico esistenziale, che sarà sempre il cielo stellato delle mie notti mentre dormo e il sole splendente delle mie giornate mentre sono sveglia.
C’è, inoltre, l’altro che non tutti sanno: il tuo spirito prevaleva ed ogni azione era ispirata da un flusso religioso e poetico che trasformava la vita in una colonna sonora senza limiti, in una poesia senza strofe, in una preghiera senza confini. 
Caro papà, tu resti per me come il fanciullino di Pascoli, la Nonna Lucia di Carducci, la Livella di Totò, lu destin di Trilussa, il Geppetto di Pinocchio, l’Ave Maria delle processioni, l’abate Faria del conte di Montecristo, lu “Sant’Anonie” cantato dentro le case di una volta, il fuoco di San Tommaso acceso dai Sansalvesi coi rami secchi, la pipizzera della festa di San Vitale, le some dei cavalli senza addobbi, le sagne di sola farina, senza uova e con sugo di pomodoro e basilico dell’orto della fonte, dove si andava a comprare con dieci lire verdure e zucchine, il profumo dell’incenso della chiesa dove ogni giorno andavi a messa, il “Tu scendi dalle stelle” di Don Cirillo, il bambinello messo nella culla non prima e non dopo la mezzanotte, la conta delle nove pietanza della vigilia di Natale, la befana esistente che “non porta il carbone” perché per te i bambini sono tutti buoni, la fisarmonica del lunedì di Pasqua, il mandolino delle tue ore più belle, la chitarra di un bertuccio, il tuo violino imparato a suonare da solo ed il mare senza “cavalloni” e i tuoi occhi infiniti come il tuo essere. 

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