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VII Congresso Regionale UIL Abruzzo

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Montesilvano, 11 e 12 maggio 2006 Delegate, delegati, gentili ospiti, la relazione che apre questo VII Congresso della Uil Abruzzo è incentrata su tre punti: - il rapporto tra Sindacato e politica; - l'importanza dell'apertura dell'Abruzzo all'Adriatico e ai Balcani; - la necessità di dare vita ad un nuovo ciclo di azione sindacale nella nostra regione. Ciascun capitolo offrirà spunti per accennare ad alcuni altri temi. Quando parleremo di rapporto tra Sindacato e politica, affronteremo anche il problema della crisi di competitività e fiducia che attraversa il Paese e di come il Sindacato nel suo complesso debba tornare ad avere un ruolo propositivo. Il capitolo sulla proiezione adriatica dell'Abruzzo sarà anche l'occasione per parlare dell'esaurimento di una lunga fase di crescita della nostra regione e della necessità di lavorare per favorire una nuova stagione di sviluppo. Infine, il capitolo sull'azione sindacale in Abruzzo si soffermerà sul rapporto con la Giunta Regionale, ma anche sul rilancio del lavoro che il sindacato deve compiere in prima persona e sulle iniziative comuni che le parti sociali possono assumere a livello bilaterale. I. Sindacato e politica Nel corso della Prima Repubblica, il sindacato è riuscito, nei momenti migliori, a sperimentare gradi di autonomia ed unità e, conseguentemente, a svolgere un ruolo di rappresentanza generale dei lavoratori e a porsi come soggetto-politico. Nel 1992-93, questa funzione generale del sindacato è stata una risorsa per il Paese per superare la crisi, ma l'avvento del bipolarismo ha fatto sbandare i sindacati ed evidenziato il problema, irrisolto, del rapporto del mondo sindacale con la politica. Lo sbandamento ha interessato l'insieme delle parti sociali, sia pure con notevoli differenze quanto ad intensità e durata. La Uil, scomparsi i suoi tradizionali partiti di riferimento, ha in un primo momento preso in considerazione la ricerca di nuovi legami: il punto più intenso di questo sforzo è stato il sostegno ad Alleanza Democratica in vista delle elezioni politiche del 1994. Oggi questa preoccupazione per l'assenza di referenti politici è superata: la Uil, confortata dall'aumento di iscritti e voti nelle elezioni delle RSU, si è convinta che le persone che si rivolgono a noi cercano semplicemente un sindacato, e non altro. Per quanto riguarda la Cisl, ricordiamo le forzature polemiche contro la Finanziaria del Governo D'Alema, culminate nella manifestazione della sola Cisl del 20 novembre 1999. Il successore di D'Antoni, Pezzotta, ha dovuto operare una risindacalizzazione della Cisl, che precede l'opera analoga cui, più in grande, dovrà dedicarsi Epifani nella Cgil del dopo-Cofferati. Indubbiamente, l'organizzazione sindacale che ha maggiormente patito il bipolarismo è stata la Cgil. Il ciclo caratterizzato dagli accordi di concertazione del 1992-93 e del 1996 e da quello bilaterale con il Governo sulle pensioni del 1995, può dirsi concluso con il Patto di Natale del 1998, con la rinuncia alla revisione del sistema contrattuale causata dall'indisponibilità della Cgil, e che invece la Uil già allora riteneva opportuna. Successivamente, anche l'unità d'azione è stata sempre più trascurata: ricordiamo gli sforzi, vani, di Larizza di porre fine alla guerra dei ''due Sergi'' e l'apertura di Cofferati sul passaggio al sistema pensionistico contributivo pro-rata per tutti resa pubblica il 1° settembre 1999, senza alcun confronto preventivo con la Uil e la Cisl. I due episodi che meglio sintetizzano questa stagione di politicizzazione e divisione sono l'impegno inedito della Cgil nel congresso DS del 2001, per di più a sostegno di una singola componente, e la manifestazione a Roma della sola Cgil il 23 marzo 2002. Parallela ma non interamente sovrapponibile a quella della Cgil, va ricordata la vicenda della Fiom, che, mentre non ha firmato due rinnovi contrattuali consecutivi, ha perseguito il tentativo, poi abbandonato, di dar vita ad una nuova formazione politica, il ''partito del lavoro''. Non solo il sindacato ha reagito male al bipolarismo, ma anche la Confindustria. Al convegno di Parma del marzo 2001, Berlusconi e D'Amato proclamarono l'identità tra il programma di Confindustria e il programma di governo della Casa delle Libertà, che includeva la decontribuzione previdenziale per i neo-assunti e l'eliminazione dell'obbligo del reintegro per i licenziamenti individuali. La tesi è che se non sapremo sciogliere, unitariamente e bene, il nodo del rapporto tra il sindacato e la politica, la prima vittima sarà la funzione del sindacato di rappresentanza generale del lavoro. Il sociologo Ilvo Diamanti ha rilevato che nelle elezioni del 2001, il 50% della classe operaia ha votato per la Casa delle Libertà, il 42% per l' Ulivo. Tra gli iscritti al sindacato, il 60% hanno votato per il centrosinistra, il 36% per la Casa delle Libertà. Conseguenza: il Sindacato non deve fare l'errore di dividere i lavoratori e i propri iscritti in base alle scelte elettorali che compiono. Il Sindacato non deve diventare articolazione di uno schieramento politico, pena perdere la titolarità della rappresentanza generale del mondo del lavoro e aprire la strada a forme di bipolarismo sindacale. Un'obiezione a quanto detto è quella di chi osserva che nelle esperienze socialdemocratica e laburista esiste un rapporto organico tra sindacato e partito, e suggerisce uno schema analogo anche da noi. Il fatto è che in Italia sin dagli albori del sindacato si è evidenziata una realtà più interclassista di quella dei paesi del nord-Europa. Non è un caso che da noi si sia affermato il modello confederale del sindacato. A questa diversa struttura sociale, si aggiunge una diversa articolazione politica, per cui nell'Italia di oggi, i ceti popolari non fanno blocco da una sola parte, ma si dividono tra i due schieramenti politici. Il variegato mondo cattolico, i leghisti, la diaspora socialista, la destra sociale, il mondo della micro-impresa: troppo ''popolo'' non è riconducibile allo schema classista puro. E il sindacato deve tenerne conto. Anche la Cgil, nel suo congresso, si è interrogata sul rapporto tra sindacato e politica, ma la formula ''non abbiamo governi amici'' è insufficiente a sciogliere il nodo. Bisogna completarla distinguendo il campo da gioco dei partiti e degli schieramenti politici da quello dei sindacati, e bisogna impegnarsi a svolgere sempre, con le controparti istituzionali elette dal libero voto dei cittadini, il lavoro negoziale proprio del sindacato. Fare accordi è il nostro mestiere, non spostare di qua o di là l'asse politico di partiti e coalizioni. All'autonomia va aggiunta la distinzione dei ruoli. Né condividiamo la prospettiva di una ''patto di legislatura'' tra il governo Prodi e le confederazioni, davvero impropria per un sindacato. Ha ragione chi ha commentato che sarebbe come aggiungersi ai partiti dell'Unione. Autonomia significa anzitutto capacità di proposta e consapevolezza del ruolo. Non significa indifferenza alla politica, né equidistanza rispetto agli schieramenti politici. Nessun pregiudizio politico ci ha inibito la determinazione di negoziare con il Governo Berlusconi, nessuna preoccupazione di apparire di parte ci ha frenato nel giudicare pessima la sua prova di governo, soprattutto nelle materie economico-sociali. Lo scontro aperto tra i sindacati è stato gradualmente sostituito da un recupero dei rapporti, ma sul piano propositivo e negoziale si è evidenziata una situazione di stallo, con conseguente crisi di risultati. Dal 2001 unitariamente non si è potuto fare altro che aspettare le elezioni del 2006. Anche Confindustria, con l'elezione di Montezemolo (marzo 2004), ha puntato sulla ripresa del confronto con il sindacato e su un recupero di autonomia dalla politica, ma già nel luglio dello stesso anno l'apertura di una discussione sulla revisione del sistema contrattuale è stata stoppata dal segretario della Cgil. Questo blocco propositivo ed operativo del Sindacato a fronte della crisi di competitività e di fiducia che sta attraversando il Paese delinea un quadro ben diverso da quello del 1992-93. Allora il Sindacato fu un elemento risolutore per il superamento della crisi. Oggi, il Sindacato complessivamente inteso è parte del paesaggio della crisi. L'agenda del sindacato deve tornare ad essere piena di cose da affrontare per modificarle, ponendo fine alla politica dei rinvii. Come si può sostenere che la revisione del sistema contrattuale non è una priorità? Lavoratori dipendenti e pensionati hanno subito un colossale spostamento di ricchezza a loro svantaggio. Pensiamo di andare avanti con regole che prevedono l'inflazione programmata invece di quella reale, rinnovando i contratti con gravi ritardi e a prezzo di tanti scioperi? Come si può denunciare la crisi della quarta settimana che ogni mese affligge tante famiglie, e poi non mettere in atto alcuna politica per affrontare il problema? La Uil ha proposto due strumenti: un nuovo sistema contrattuale, commisurato all'inflazione reale e con un maggior decentramento per ridistribuire quote di produttività, e politiche fiscali che prevedano aliquota zero sugli aumenti contrattuali, almeno per un periodo. Siamo aperti al confronto su eventuali altre proposte, ma chiusi rispetto a tattiche dilatorie. Né possiamo continuare a lasciar scorrere il tempo senza affrontare il problema della divisione del mondo del lavoro tra tutelati e non, limitandoci ad invettive contro la precarietà. L'insediamento sociale del sindacato si è ridotto alla metà del mondo del lavoro. Non crediamo che sarà possibile risolvere il problema della scarsa diffusione della contrattazione integrativa semplicemente aggiungendo al sistema contrattuale così com'è oggi un secondo livello più cogente. Allo stesso modo, non crediamo che alla precarietà si potrà rispondere senza riformare complessivamente il mercato del lavoro. Bisogna trasformare i due sistemi, quello contrattuale e il mercato del lavoro, per renderli universali invece che discriminatori. Il sindacato italiano si trova ad un crocevia: se sceglierà di portare dentro la sua base la divisione politica tra sinistra e destra e non saprà sanare la divisione sociale tra tutelati e non, il rischio è di non potersi più presentare in futuro come il rappresentante universale dei lavoratori, il dato che gli ha permesso di essere soggetto politico e di scrivere le pagine migliori della sua storia italiana. Se invece sceglierà la strada dell'autonomia e dell'unità e si affretterà, prima che sia tardi, ad aggredire i nodi della frattura del mercato del lavoro, con gli strumenti della legge, correggendo la normativa esistente ed integrandola con l'istituzione di un ammortizzatore universale, ma anche con un gran ruolo degli enti bilaterali, allora sentiremo ancora parlare del sindacato come un protagonista positivo nella vicenda nazionale. Tema decisivo è la ripresa economica del Paese e il recupero di competitività, che richiede politiche a breve, ma anche a medio e lungo termine. E' necessario che l'alternanza, che è un bene perché consente il ricambio, non comporti però l'impossibilità di investimenti di lunga durata, con legislature che non continuano in nulla l'opera dei predecessori ma ricominciano da capo, in un clima da cambio di regime. Gli schieramenti politici devono convergere almeno sulle grandi scelte strategiche, e la concertazione con le parti sociali può essere il cemento di costruzioni proiettate nel tempo. Su questa linea, a livello regionale abbiamo ricercato ed apprezzato gli episodi bi-partisan sin qui realizzati, il voto unanime in Consiglio regionale sulle crisi industriali e sullo zuccherificio di Celano, nonché l'incontro congiunto di maggioranza e opposizione regionale con il Ministro Maroni, da cui prese avvio la costruzione del decreto-ammortizzatori. Con questo spirito, abbiamo invitato al congresso della Uil Abruzzo l'Istituzione Regionale al massimo livello, nella duplice articolazione del capo del governo regionale e del capo dell'opposizione, il Presidente Del Turco e l'Onorevole Pace. In questa prospettiva, abbiamo condiviso la scelta di Cgil, Cisl, Uil di Milano di invitare i candidati sindaco di entrambi gli schieramenti alla festa del 1° maggio. II. La strategia adriatico-balcanica dell'Abruzzo Il 2005 si è caratterizzato, in Abruzzo, per la presa di coscienza della crisi del modello di sviluppo regionale, tema che il Sindacato aveva messo al centro dello sciopero generale del 13 febbraio 2004. Una fotografia aggiornata della situazione dell'Abruzzo ci ha fornito il Professor Giuseppe Mauro, con una raccolta di dati e appunti di analisi statistica realizzata appositamente per il nostro congresso. Intorno alla campagna elettorale per le regionali, abbiamo avuto un inizio di dibattito sul ruolo che l'Abruzzo potrebbe svolgere nei confronti dell'Europa Sud-Orientale, che riteniamo di grande importanza per tracciare la strada per un nuovo ciclo di sviluppo. Il Presidente Del Turco, in particolare, ha avuto un ruolo nello sprovincializzare il punto di vista abruzzese. Due le occasioni da cogliere: - la rivoluzione commerciale che sta interessando il Mediterraneo, sul quale si riversano impetuosi flussi di merci provenienti dalla Cina e dall'India; - il cammino dei Balcani verso l'integrazione Europea. È stato osservato che l'Italia potrebbe riconquistare grazie alla geografia l'importanza che ha perduto a causa del proprio declino competitivo: il Mediterraneo non era più stato così importante da quando la scoperta dell'America determinò l'ascesa delle rotte atlantiche. Inoltre, il cosiddetto ''sistema dei Tre Mari'' (Caspio, Mar Nero, Mediterraneo), ha rilevanza strategica anche per via delle reti energetiche eurasiatiche. Ma la geografia non farà da sola il miracolo: va aiutata con scelte, politiche ed economiche. Le tesi della Uil insistono sull'indicazione di uscire dalla crisi dell'Unione Europea con più Europa, sconfiggendo le tentazioni alla rinazionalizzazione delle politiche, ma anzi, dando all'Unione contenuto politico. L'allargamento dell'Unione verso sud-est e la valorizzazione della sua frontiera mediterranea a sud sono interessi strategici dell'Italia, che paga un'Europa troppo risucchiata verso nord/nord-est. Entrambe le opzioni offrono prospettive all'Abruzzo, situato com'è al centro della costa adriatica, di fronte ai Balcani, all'altezza di Roma, da dove può raggiungere lo sbocco tirrenico. La strategia dell'Abruzzo non può essere genericamente ''mediterannea'', bensì anzitutto adriatico-balcanica. Bisogna scongiurare il rischio che l'Adriatico venga saltato dalle direttrici europee di collegamento Est-Ovest, che potrebbero muoversi a nord lungo il Corridoio V (Lione-Kiev) e a sud lungo la linea Egeo-Ionio-Tirreno, ignorando il sistema adriatico. E' invece nostro interesse che non si determini l'isolamento del sistema Adriatico ma che, anzi, oltre all'asse est-ovest, lo attraversi un asse nord-sud, che lo metta in collegamento con il Baltico, facendone un crocevia di comunicazione nella nuova Europa allargata, laddove fu tante volte nella storia una frontiera tra occidente ed oriente. Il rischio che l'Adriatico diventi un mare morto è reso ancora più forte dalla situazione politica dell'area balcanica. Le guerre post-jugoslave del decennio 1991-2001 ne hanno determinato il ritardo rispetto all'adesione alla costruzione europea, una zona grigia nella cartina colorata dei Paesi membri e candidati. Ora si tratta di evitare che riparta un processo di balcanizzazione dell'Europa Sud-Orientale. Ecco le ragioni per cui il nostro approccio a questi temi non può essere economicista, ma deve essere pienamente politico e strategico. Per questo motivo abbiamo utilizzato, per definire la strategia adriatico-balcanica della nostra regione, l'espressione forte ''geopolitica dell'Abruzzo''. L'Abruzzo deve essere dentro il dibattito europeo sui corridoi, ma anche impegnarsi per favorire un'evoluzione dell'intera area balcanica che non lasci a piedi alcun Paese: ciò comprometterebbe la stabilizzazione pacifica della regione. Il reincarico all'Abruzzo di guidare il nuovo programma Adriatico-IPA (programma di cooperazione transfrontaliera, strumento di pre-adesione per i prossimi paesi candidati e potenziali candidati), precedentemente denominato Interreg III A, è un'opportunità preziosa. Su questi temi, domani ascolteremo un contributo di Massimo Luciani, assessore alle politiche comunitarie del Comune di Pescara. L'Abruzzo ha interesse a rinnovare la propria caratteristica di territorio non vinto dalla criminalità organizzata, uno dei punti di forza più significativi della nostra regione, e questo obbiettivo può essere conseguito se sulle due rive dell'Adriatico prevarranno governo, cooperazione e sviluppo. Umberto Dante, nella sua Storia dell'Abruzzo nell'età contemporanea, racconta la duplice vittoria, militare e culturale, del carabiniere Chiaffredo Bergia e dei suoi squadriglieri sul banditismo abruzzese, nel 1871, e con loro la vittoria dello stato e della legalità nella cultura contadina locale e nel suo immaginario, a differenza che in altre parti del Meridione: un fatto di immensa portata storica per questa regione. Dove invece non abbiamo un primato da difendere, ma la necessità di rimontare una condizione di grave arretratezza, è nella sicurezza sul lavoro. Il Mediterraneo è una della frontiere più critiche del pianeta. E' necessario che l'Abruzzo ci si muova con le idee chiare, sapendo che i buoni sentimenti non possono sostituire l'esame rigoroso dei conflitti. Non abbiamo condiviso il gemellaggio tra il Comune di Pescara e la ''città martire'' di Ramallah, come recitava il manifesto dell'evento, per la disinvoltura nell'uso della qualifica di ''città martire'' e per l'insopportabile leggerezza nel maneggiare la parola ''martire'', sinistramente evocatrice in quel contesto. Non abbiamo condiviso l'intervento di un esponente istituzionale abruzzese e della Consigliera per gli extra-comunitari di Pescara, in cui i gravi incidenti, tutt'altro che spontanei, verificatisi in tanta parte del mondo arabo-musulmano intorno alla vicenda delle vignette vengono spiegati esclusivamente in termini di reazione a colpe occidentali, ed italiane, vecchie e nuove, senza mettere minimamente a fuoco il carattere attivo, non reattivo, dell'estremismo islamista, una sorta di fascismo verde. Non abbiamo condiviso la teorizzazione, presentata da alcuni accademici abruzzesi, del sistema del millet, vigente nell'Impero Ottomano, quale modello di coesistenza tra gruppi etnico-religiosi diversi nel Mediterraneo, in cui depositari dei diritti non sono le persone, ma le comunità, le cui differenze andrebbero, secondo questi studiosi, preservate in chiave anti-globalizzazione, con il rischio di esiti, a nostro giudizio, illiberali e confessionali. Per fare politica nel Mediterraneo, bisogna attrezzarsi anche culturalmente. La capacità di dialogo è fondamentale, ma al confronto si va partendo dai propri valori, che per noi devono essere anzitutto libertà e democrazia, separazione di religione e stato, pluralismo, politico e sociale. Bisogna distinguere i popoli e le culture, verso i quali esaltare la disponibilità alla mediazione, dal totalitarismo teocratico, che va solo combattuto. Le potenzialità geo-strategiche dell'Abruzzo necessitano per tradursi in realtà di un poderoso adeguamento delle infrastrutture di trasporto. Secondo noi, la chiave di volta per superare il problema del reperimento delle ingenti risorse necessarie è nella negoziazione con il Governo della nuova Intesa Istituzionale di Programma, che dovrà essere incentrata su queste priorità e, attorno all'investimento pubblico, si dovrà chiamare la mobilitazione di capitali privati. Il Documento dei Presidenti delle Regioni del Mezzogiorno del 2 febbraio 2006 individua in 40.500 meuro le risorse per realizzare la prima fase di adeguamento delle infrastrutture. Siccome con l'attuale gettito, ci vorrebbero 20 anni (50 per l'intero progetto), il documento chiede il raddoppio della spesa annuale per il Mezzogiorno, nell'ambito di una scelta nazionale che faccia di questo problema la priorità da risolvere, che non può accompagnare per l'eternità la storia dello stato Italiano. A livello regionale, dobbiamo passare dall'evocazione della prospettiva dell'Abruzzo-Porta dei Balcani all'esame delle opere per realizzarla: costo, strategie di investimento, priorità, cose da avviare entro la presente legislatura, tappe successive. Dobbiamo passare dalle suggestioni alle scelte. Le proposte sin qui illustrate disegnano una ''T'' coricata, con il braccio più lungo in corrispondenza della tratta Roma-Pescara, e il più corto in corrispondenza della linea costiera Silvi-Francavilla. Resta irrisolto il problema di un collegamento veloce tra Pescara e L'Aquila, una grave mancanza per una regione bicefala. E' necessario che la ''T'' diventi almeno un ''Pi greco'', tanto per restare sul Balcanico, con un braccio dal mare all'Aquila. Naturalmente, l'obbiettivo strategico dell'Abruzzo non è solo essere attraversato, ma essere scelto per nuovi insediamenti produttivi e di servizio. A questo fine, dobbiamo puntare a ricreare un ambiente regionale competitivo. Ciò vuole dire anche incentivi, ma non solo: infrastrutture, come si è detto, ma anche la banda larga, reti (poste, telefonia, energia, acqua), e poi, procedure amministrative snelle, relazioni industriali costruttive, servizi avanzati, un buon sistema regionale integrato della conoscenza (scuola, università, formazione, ricerca), credito, legalità, sicurezza, prossimità con centri di vita culturale stimolante, innovativa, ma anche con bellezze naturali. Bisogna difendere le nostre fabbriche e lavorare per un nuovo ciclo di industrializzazione. Intrecciare le risposte assistenziali con la costruzione di soluzioni industriali. Coinvolgere il meglio dell'industria nazionale, a cominciare dal gruppo Finmeccanica. A questo scopo, è importante ottenere un incontro non appena si sarà insediato il nuovo Governo per un esame delle vertenze aperte e delle prospettive di rilancio dei siti. Malgrado la grande industria sia stata il motore dei trenta anni gloriosi dell'uscita dell'Abruzzo dal sottosviluppo, non è mai stata amata da tanti esponenti dell'élite abruzzese, che hanno visto con sospetto gli investimenti esogeni e coltivato il mito della maggiore affidabilità dei piccoli e piccolissimi imprenditori locali, scambiando i loro limiti per pregi. La contrapposizione tra piccole-medie imprese e grandi aziende è solo una sciocchezza. Nel prossimo ciclo di sviluppo, l'industria sarà ancora importante, ma dobbiamo pensarla meno isolata che in passato, bensì in collegamento con la crescita di un terziario qualificato e con il mondo della scuola e l'Università. Quella tra servizi e manifatturiero è solo un'altra contrapposizione insensata. Così come dobbiamo operare affinché la faticosa articolazione tra l'Università dell'Aquila e la Fondazione Mirror sia solo un momento dialettico sulla strada della costruzione di una importante sinergia. I grandi gruppi da tempo insediati in Abruzzo stanno dimostrando di credere nelle potenzialità della nostra regione con ampliamenti importanti, resi possibili anche da accordi sindacali, come nei casi Honda (1996), Micron (2002), Sevel (2005). Nel mentre è nostro dovere puntare i riflettori sulle difficoltà, dobbiamo anche saper raccontare queste storie positive, perché dalle crisi non verremo fuori senza rinnovata fiducia. Un appuntamento da tempo in cerca di una data: l'avvio dell'interlocuzione Regione-Sindacato-grandi gruppi, a cominciare da Fiat, Honda e Micron. Un tema da porre all'ordine del giorno: i grandi gruppi e il riequilibrio territoriale. Siamo convinti che una prospettiva feconda su cui lavorare sia quella di incrementare la porzione di indotto delle grandi aziende insediato in Abruzzo, e di favorirne localizzazioni che interessino anche le zone interne, recuperando infrastrutture e culture industriali che pure vi si sono espresse. III. Un nuovo ciclo d'azione sindacale confederale in Abruzzo L' VIII legislatura regionale Cgil, Cisl, Uil Abruzzo hanno presentato alla vigilia del voto regionale dell'aprile 2005 ad entrambi gli schieramenti politici le proprie richieste, proposte e aspettative di partecipazione affinché la nuova legislatura assicurasse, sulla base di un'analisi consapevole della crisi abruzzese, una marcata discontinuità rispetto alla conduzione del governo regionale, con la realizzazione di vere e proprie riforme, una corposa legislazione regionale, con leggi quadro e di settore, e un recupero di attenzione per l'Abruzzo da parte dei decisori nazionali, a cominciare dal Governo: quella che abbiamo chiamato Vertenza Abruzzo. Il quadro ad oggi dei rapporti tra le confederazioni abruzzesi e la Giunta Regionale presieduta da Ottaviano Del Turco e dei risultati conseguiti è articolato. Si sono avviati confronti, si sono condivise suggestioni e alcune realizzazioni, ma vi sono stati anche innegabili momenti di difficoltà, cui è subentrata una fase di limbo, prolungata dalla coincidenza con la scadenza elettorale nazionale. Da questa pausa dobbiamo uscire con lo spirito di una nuova partenza, facendo tesoro dell'esperienza dei mesi scorsi, per evitare che incomprensioni superabili riducano le nostre potenzialità e ridimensionino le aspettative. Non vi sono, infatti, ragioni sostanziali perché le organizzazioni sindacali, più in generale, le parti sociali, e il governo regionale non debbano riuscire a sviluppare un confronto fattivo, che è nell'interesse di tutti. Malgrado il diradarsi dei momenti di incontro in questa ultima fase, sappiamo che si è continuato a lavorare alla proposta di un protocollo sulle regole della concertazione, che recepisce largamente l'impostazione sindacale. E' importante arrivare presto alla firma del documento, anche per mettere ordine e regole ad un dialogo che deve essere approfondito, ma anche snello e produttivo. Ma affinché la stipula di un accordo così rilevante non avvenga in un contesto in cui non è in atto alcun confronto di merito di carattere generale, è matura l'occasione per dibattere insieme con la Giunta Regionale l'agenda per i prossimi mesi. Le riforme. Pubblica amministrazione, sistema della conoscenza, riordino degli enti strumentali della Regione e dei consorzi industriali, acqua etc: da cosa si comincia? Le leggi di settore da costruire con le parti sociali. Lavoro, attività produttive e servizi, turismo, commercio, agricoltura e distretti agro-alimentari, etc: quali percorsi concordiamo? I piani regionali. Trasporti, rifiuti, energia, sanità integrata con il sociale, etc: quali scadenze ci diamo? Le politiche regionali di settore. Politica industriale (telecomunicazioni, due e quattro ruote; tessile di qualità; agro-alimentare; made-in-Abruzzo; artigianato); politica del credito; politiche delle pari opportunità; istituzione del fondo per la non autosufficienza, etc. Le tappe della Vertenza Abruzzo. Se il termine ''vertenza'' suona inadeguato per la parte che attiene rapporti tra livelli diversi delle Istituzioni, non ne facciamo una questione nominalistica. L'importante è che il confronto sia strutturato e gli impegni formalizzati, in accordi, protocolli, atti. Bilancio: la Uil ha apprezzato la rottura della sequenza degli esercizi provvisori, l'alt alle politiche di indebitamento, il NO all'aumento delle tasse regionali. E' però necessario un grande coinvolgimento delle parti sociali nella conoscenza delle problematiche del bilancio e nelle scelte, che sino ad ora non c'è stato. Chiediamo che il confronto cominci quanto prima, per non doverlo nuovamente sacrificare alla ristrettezza dei tempi. Siamo convinti che in un bilancio così avaro per politiche di investimento, si debba mettere mano con decisione all'abbattimento dei residui passivi, che in Abruzzo sono tra i più alti d'Italia. Sanità: mettere sotto controllo la spesa e al tempo stesso riorganizzare il servizio, questa la duplice sfida. Aggiustare i conti, ma anche non trattare la sanità solo dal punto di vista dei costi. Far coincidere la razionalizzazione con la riforma, l'integrazione con il sociale, la qualificazione degli ospedali, lo sviluppo della prevenzione e dell'Assistenza Domiciliare Integrata, omogeneo sull'intero territorio. Introdurre regole. Motivare, qualificare e rendere protagonisti della riorganizzazione i lavoratori del settore. La Uil Abruzzo è schierata per la riorganizzazione e contro le ricorrenti tentazioni al rinvio e le incoerenze che ancora ripropongono il vecchio schema, quello secondo cui invece di partire dalle esigenze del sistema, calibrate su quelle del cittadino-utente, si parte dalle esigenze di ritorno economico dell'investimento di questo o quel soggetto imprenditoriale, operato a prescindere da qualsiasi logica di programmazione. Nel prossimo futuro, saremo chiamati a un intenso lavoro di definizione strategica, con la stesura del Piano di Sviluppo, del Programma Operativo 2007-2013 e del DPEFR 2007-2009. E' importante che il coinvolgimento del partenariato nella programmazione vada in parallelo con lo sviluppo della concertazione triangolare e non rappresenti l'unico livello di confronto disponibile. Ma per quanto importante sia il ruolo dell'Istituzione Regione, non dobbiamo esaurire l'attenzione del sindacalismo confederale nel rapporto con la Giunta. Molto possono fare le parti sociali, e non solo nel confronto a tre con il potere politico ai vari livelli. Per esempio, dando maggiore impulso agli enti bilaterali, riprendendo a livello regionale i contenuti del Progetto Mezzogiorno siglato dalle parti sociali il 2 novembre 2004 o, per quanto riguarda specificamente Confindustria, l'accordo del giugno 2003 su ricerca, innovazione, formazione, infrastrutture e Mezzogiorno. Relazioni industriali costruttive sono state in passato uno dei punti di forza del modello-Abruzzo. Per rinverdire la tradizione, bisogna che le parti sociali a livello regionale sappiano porsi come soggetti dello sviluppo, anche coinvolgendo unitariamente i rispettivi livelli nazionali sulle istanze abruzzesi. Un altro terreno di azione comune può essere il marketing territoriale, la promozione delle opportunità d'investimento in Abruzzo, magari con una campagna di incontri gestiti bilateralmente presso le associazioni imprenditoriali del centro-nord. E' poi necessario che il Sindacato in prima persona decida un suo programma di iniziative, coinvolgendo l'organizzazione nella sua interezza, fino ai sindacalisti che operano nei luoghi di lavoro, la vera, insostituibile, capillare forza del sindacato, individuando gli obbiettivi, gli interlocutori e le controparti. Se non c'è elaborazione e prassi unitaria tra i sindacati, difficilmente vedremo una grande bilateralità con gli imprenditori e una ricca concertazione triangolare con le Istituzioni. All'indomani del nostro congresso, siamo d'accordo con Cgil e Cisl per una riunione delle tre segreterie, per ripartire. La Uil Abruzzo farà del suo meglio per contribuire ad un nuovo ciclo d'azione sindacale confederale, insieme con Cgil e Cisl, nonché in rapporto di positiva collaborazione con la Ugl. L'organizzazione è molto cresciuta in questi anni ed ha grandi potenzialità di ulteriore sviluppo. Merito di tanti, ma volendo fare un solo nome, quello che siamo in Abruzzo come confederazione lo dobbiamo anzitutto a Dino Fasciani, per la quantità e la qualità del lavoro che ha svolto in questi anni, senza risparmiarsi, costruendo per la Uil un'immagine solida di credibilità, di capacità di soluzione dei problemi e di simpatia. In conclusione, la relazione pone al dibattito del congresso e degli ospiti alcune questioni che riteniamo molto importanti: - l'autonomia e la distinzione dei ruoli nei rapporti tra il sindacato e la politica, condizione per superare la paralisi che sta attanagliando le confederazioni; - la necessità che il sindacato si ponga l'obbiettivo di riconquistare la rappresentanza dell'intero mondo del lavoro, superando l'attuale frattura tra tutelati e non; - la fecondità di una visione su scala regionale europea del ruolo che l'Abruzzo può svolgere, in particolare in rapporto con l'Adriatico e l'Europa Sud-Orientale, ai fini di un nuovo ciclo di sviluppo della regione; - il ruolo che i grandi gruppi industriali presenti in Abruzzo possono avere ai fini del riequilibrio territoriale; - l'utilità della convergenza bi-partisan, sostenuta dalla concertazione con le forze sociali, sulle scelte strategiche; - l'importanza di avviare con la Giunta Regionale un confronto finalizzato a produrre risultati operativi, superando le incomprensioni dei mesi scorsi; - la richiesta di aprire quanto prima il tavolo sul bilancio; - il potenziamento delle relazioni bilaterali tra le parti sociali; - la necessità che il sindacato abruzzese dia impulso a un'azione complessiva, di cui il rapporto con il governo regionale sia una componente importantissima, ma non esaustiva. Tutto ciò per continuare ad essere come sindacato uno strumento utile per il mondo del lavoro tutto, capace di iscrivere la tutela dei propri rappresentati dentro gli interessi complessivi del Paese e di assumersi fino in fondo le proprie responsabilità. Viva il sindacato. Viva la Uil. Roberto Campo
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