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Una 'bella signora' millenaria che sfida il tempo: la Fontana Vecchia, il fascino di una dea

Ha fecondato la vita di San Salvo e racconta da una 'beauty farm' a un 'lupo mannaro'

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Quando la vedemmo per la prima volta - tanti anni fa - fummo colpiti dalla eccezionale portata d’acqua delle sue due cannelle. Sembrava uno spreco in un’epoca in cui lavatrici e rubinetti erano in tutte le case e, le fontane pubbliche, erano ormai quasi tutte cicatrizzate o bloccate con un grande rubinetto. Un archeologo scrupoloso come Davide Aquilano ha avanzato l’ipotesi che la portata media della Fontana Vecchia sia di 0,75 litri/secondo. In questo caso avremmo 45 litri di acqua al minuto e 648 quintali di acqua ogni 24 ore. Un’abbondanza che, per divenire sospetta, ha richiesto quasi duemila anni di attesa.

Dopo i primi scavi del 2001 che hanno portato alla luce i resti dell’antica abbazia cistercense, il nucleo civico romano e la prima cisterna che presupponeva la condotta idrica, è stato un crescendo di scoperte meravigliose, di cui la Fontana Vecchia è il testimonial/capolinea. Dal 2014, essa, finalmente, si è potuta scrollare di dosso, gli ultimi granelli di secoli di silenzio e, se anche è stata usata come abbeveratoio e approvvigionamento d’acqua per uso domestico e rurale per anni innumerevoli ora, con la scoperta dell’acquedotto romano che la alimenta, le è stata restituita 'voce e dignità imperiale'.

Il suo percorso poi, è dei più nobili e tecnicamente riusciti. Il primo indizio di una condotta riportata alla luce dagli archeologi, visibile in via Fontana Vecchia – sul piano stradale immediatamente superiore – ha acceso l’intuito degli studiosi facendo ipotizzare che, la sorgente, anzi le tante micro sorgenti da cui la Fontana Vecchia viene alimentata, fossero state captate nelle vicinanze del cimitero, per essere convogliate in un acquedotto ipogeo (sotterraneo) d’epoca romana e rendersi conto che, il suo percorso, attraversa quasi tutta la città antica: un tunnel profondo 7 metri le cui pareti, pavimento e tetto a cuspide, costruiti in solide pietre ha sfidato i millenni.

L’acquedotto romano, nel 2014, dopo anni di ricerche, studi, e felici intuizioni si è mostrato agli archeospeleologi in tutta la sua perfezione e solidità ingegneristica, elementi di cui gli antichi romani erano maestri. Attualmente è allo studio un progetto per la sua conservazione e manutenzione, anche per preservare il sottosuolo da dannose infiltrazioni.

Un’acqua - quella della Fontana Vecchia - che i nostri antenati hanno saputo conservarci fino ad oggi. Gli interrogativi delle ragioni della sua esistenza riconducono - secondo l’archeologo Davide Aquilano - a diverse ipotesi di cui, la più attendibile, sembra essere l’uso termale per via dei tubuli conduttori d’aria calda trovati nelle vicinanze della stanza del mosaico, terme che, necessitavano di un enorme quantità d’acqua.

La nostra dea dunque, nel cammino che la conduce a sgorgare, è molto probabile, abbia alimentato le terme della civitas romana-sansalvese, quel posto che era la beauty farm che l’impero offriva gratis a tutti i cittadini: luogo di relax, relazioni umane, igiene, salute, cosmesi, politica, gossip, affari e altro. Nei secoli a venire, la nostra sorgente non ha più avuto di questi 'impegni', ma avrà provveduto con la solita generosità, alla vita quotidiana del monastero cistercense e di tutti coloro che gravitavano intorno ad esso.

Alcuni abitanti delle case delle strade limitrofe e della piazzetta che a tutt’oggi la circonda – tra cui Antonio Bracciale e sua moglie Teresa – ci raccontano, invece, della sua vita e vitalità nel secolo scorso. Una testimonianza, la loro, più vicina a noi, che parla il linguaggio umano tipico di ogni sorgente d’acqua. La Fontana Vecchia, per bocca di questi e altri testimoni racconta che, prima del 1950 - data di ristrutturazione per volontà dell’allora sindaco Carmine Chinni - sorgeva pochi metri più avanti. La sua portata e ubicazione ne facevano un magnifico punto di approvvigionamento idrico per uso domestico, ma anche potabile per tutti i salvanesi, benché l’acqua fosse un po’ più duretta di quella della rete pubblica dalla portata irrisoria.

Abbiamo chiesto alla signora Teresa Bracciale se la Fontana Vecchia fosse anche lavatoio, ma la risposta è stata un secco e quasi timoroso: «Io... mai! Ma, di sotterfugio, qualcuna si!». La vasca contigua, infatti, era adibita esclusivamente ad abbeveratoio per gli animali e non si poteva 'inquinare' per fare il bucato neppure con la semplice lisciva ottenuta dalla cenere senza essere rimproverati da tutti, come viene confermato da altre donne.

L’acqua era considerata sacra e primaria per innaffiare i campi e dissetare gli animali. Prima che vi sorgesse il nuovo quartiere, la piazza e, la zona sottostante la piazzetta, veniva chiamata l’orte de la fonde, perché, la signora Iolanda - proprietaria del declivio - lo aveva lottizzato in piccoli appezzamenti che affittava per la coltivazione di ortaggi, in orti che venivano irrorati dalle acque di scolo della fontana convogliate in una vasca chiamata peschiera: una vera benedizione per gli ortolani che vi coltivavano verdure.

L’uso domestico dell’acqua poteva avere dei limiti, ma la sopravvivenza alimentare no! Come alla Fontana Nuova, anche qui, di buon mattino, c’era la fila degli asini con i barilotti e, al ritorno, la sosta per reintegrare le scorte domestiche. Di certo ci si scambiavano notizie, si confrontavano i raccolti, ci si sosteneva nella fatica, si imbastivano relazioni umane. Insieme alla chiesa, la fontana, era anche l’unico punto 'lecito' d’incontro tra giovani in cerca di fidanzata/o.

Il signor Antonio Bracciale, ci racconta un episodio singolarissimo accaduto davanti ad essa che, di storie ne avrà 'viste' e 'sentite' tante. La sua giovane nonna (fine Ottocento?), tornando dai campi, una sera fu aggredita da lu lupe minare (lupo mannaro), un personaggio esistente tra, il 'discusso-vero' della licantropia e la terrorizzata fantasia popolare, sempre popolata di spiriti malefici di ogni sorta. Ebbene, la ragazza, dopo aspra lotta, riuscì a sfilare di tasca un coltello e colpirlo leggermente. Pare che, il segreto per rendere un lupo mannaro nu cristiane (normale persona umana), consistesse nel ferire l’uomo/lupo e fargli perdere almeno una goccia di sangue.

Il lupo mannaro scappò via di fronte alla lama, ma dopo qualche giorno, cercò la ragazza per ringraziarla di averlo guarito dal suo stato di 'maledetto' e i due divennero persino rispettosi amici. Non crediamo di essere irriverenti se, nella vicenda, ravvediamo una donna forte, coraggiosa e intelligente e, nell’uomo, un 'perdente' molto furbo.
La fontana, nei secoli, ha visto la vita di San Salvo esprimersi in tanti modi: fatiche, fiere di San Vitale, amicizie, matrimoni, affari e altro. A detta di altri testimoni, pare sia stata persino testimone di un oscuro quanto efferato omicidio.

Essa tutto conserva e medita nel suo 'cuore' e sorride, ride e piange delle storie degli uomini, continuando a 'convocare' - con lo scroscio potente della sua acqua - orecchie e cuori attenti che sappiano ascoltare la sua storia meravigliosa. Allo stato attuale, avrebbe bisogno di un nuovo restauro, ma soprattutto, di visite dallo sguardo incantato, vecchi e nuovi amici sensibili alla bellezza e freschezza della sua acqua, dei suoi racconti, della sua poesia e, magari, essere presa in considerazione come sfondo di foto singole o di gruppo.
Carino sarebbe anche un selfie alla moda per la propria pagina Facebook, per iniziare a scrivere una nuova storia in uno dei luoghi più cari alla memoria dei sansalvesi.

FOTO DI INES MONTANARO
NOTE TECNICO/STORICHE: PROF. DAVIDE AQUILANO, PROF. GIOVANNI ARTESE E ABITANTI DEL LUOGO

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