Nei mesi estivi affollano le spiagge di tutta Italia, e questa volta non parliamo dei turisti, ma dei venditori ambulanti.
Spesso vediamo passarli sotto gli ombrelloni, camminare sotto il sole bollente con grandi bustoni oppure con dei tavoloni improvvisati dove hanno esposta la loro merce. Ma cosa spinge queste persone a fare questo “lavoro”?
Ho deciso, allora, di chiederlo ad alcuni di loro, mentre passavano cercando di vendere la loro merce.
Alcuni non hanno voluto parlare, altri invece sono stati molto felici di poter raccontare la loro storia, come ha fatto per esempio un ragazzo di diciannove anni che viene dal Bangladesh.
Partito da casa due anni fa perché non avevano soldi neanche per mangiare, questo ragazzo ha impiegato sei mesi per venire in Italia, nascondendosi all’interno di camion e percorrendo alcuni tratti di strada a piedi.
Dopo un lungo viaggio molto travagliato, passando per l’India, il Pakistan e l’Afghanistan, giunge in Italia dove viene fermato dalla Polizia.
Quando arrivò qui era ancora minorenne e gli concessero un permesso di soggiorno.
Si trasferì a Roma dove imparò la nostra lingua e iniziò a lavorare come cameriere in qualche bar o ristorante, ma d’estate era costretto ad andare a lavorare in spiaggia perché il lavoro in città scarseggiava a causa dei ragazzi che, finita la scuola, si trovavano qualche lavoretto.
Questo è il secondo anno che viene qui, partendo tutti i giorni la mattina presto da Pescara.
Si sposta in continuazione: un giorno viene qui, il giorno dopo magari va a Casalbordino, un altro giorno rimane a Pescara, tutto dipende se ha con se i soldi per potersi pagare il biglietto del treno. Ci racconta che ha molta paura della polizia perché sa di non essere in regola e, se lo vedono, gli sequestrano tutta la merce che vende per vivere.
Ma perché tutta questa fatica e questo rischio? Lui qui in Italia è solo, e ogni mese spedisce i soldi che guadagna in Bangladesh, per aiutare la sua famiglia che è rimasta lì, dove ci sono la mamma, il papà e tre fratelli tenendosi solamente il minimo indispensabile per vivere.
Poco dopo arriva un bambino di appena dodici anni, molto sorridente.
Parlava poco l'italiano, ma qualcosa è riuscito a dirla. Lui è un anno che è qui in Italia, insieme al suo papà che vive a Roma, mentre sua mamma è rimasta in Bangladesh con suo fratello. Questo ragazzino mi racconta che d’inverno va a scuola, come tutti i bambini della sua età dovrebbero fare, e l’estate viene qui a lavorare. Lui, però, non vive questa esperienza come un vero e proprio lavoro, bensì come una vacanza al mare, ed è molto contento di essere qui.
La semplicità di un bambino che non ha nulla, ed è felice con poco.
Dietro queste persone, si nascondono storie difficili, a tratti anche commoventi, che forse dovrebbero far riflettere molto.