Partecipa a SanSalvo.net

Sei già registrato? Accedi

Password dimenticata? Recuperala

Dio ci genera sempre a una nuova vita, poiché Egli è fedele a coloro che gli appartengono

Commento al vangelo

Condividi su:

Dopo i farisei e gli scribi escono nuovi avversari di Gesù: i sadducei. Essi negavano la risurrezione come pura illusione umana e adottano contro Gesù una diversa strategia di disputa. I sadducei temevano che l’affluenza delle folle a Gesù potesse trasformarsi in agitazione politica che i Romani avrebbero soffocato violentemente. Perciò mirano a limitare l’autorità di Gesù nella vita pubblica. Con questo intento, raccontano una storia inventata di sette fratelli e la moglie del maggiore fra loro, aspettandosi così di mettere in ridicolo Gesù e la fede nella risurrezione. In realtà, lo scherno si è rivolto contro se stessi.

Gesù dimostra, infatti, che il mondo futuro non è il prolungamento di questo; afferma che la morte sarà vinta, e chi risusciterà, avrà parte alla vita di Dio e non sarà più sottomesso alle leggi biologiche di questo mondo. Nel seguito del discorso, Gesù, fondandosi sull’Esodo (Es 3,6), libro considerato sacro dai sadducei, presenta un argomento biblico sulla risurrezione: “Dio non è Dio dei morti” (Lc 20,38), lo sarebbe se Abramo, Isacco e Giacobbe non vivessero più, ma essi hanno vita e rendono gloria a Dio. Ciò significa anche che solo chi vive per Dio, è in vita davvero.

Dio invita tutti gli uomini alla Sua casa, perché desidera che tutti beneficiamo con Lui della pienezza della vita nell’eternità immortale. La Parola dice: “Dio ha messo la nozione di eternità nel loro cuore” (Qo 3,11). Ora, “Ciò di cui il nostro tempo ha maggiormente bisogno è l’eternità” (Kierkegaard). Come creature sperimentiamo in mille modi i nostri limiti, ma ci accorgiamo anche, che siamo chiamati a una vita superiore.

Noi affermiamo, come ci ricorda il 2° libro dei Maccabei che “il re dell’universo ci risusciterà a vita nuova ed eterna”, perché “Dio non è Dio dei morti, ma dei viventi” (Lc 20,38). Infatti, nel Credo diciamo: “Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”.  Una convinzione da bellezza a tutta la nostra vita: “al di là” c’è qualcosa di più bello, ci sono “cieli nuovi e terra nuova”, “la cui felicità sazierà in abbondanza tutti i desideri che salgono nel cuore degli uomini” (GS, 39). Con umorismo, è stato detto: Se dall’aldilà nessuno è tornato indietro, vuol dire che non si sta poi tanto male (Roberto Gervaso).

Noi cristiani viviamo con questa certezza, questo, però, non deve costituire una forma di evasione, un alibi alla rinuncia delle responsabilità che abbiamo in questa vita, perché è in questa vita, che prepariamo l’altra. La felicità futura, perciò, non deve impedirci di combattere il male, le ingiustizie, le sofferenze presenti in questo mondo. Se non ci impegniamo a cambiare, almeno un po’, le cose in questa terra, difficilmente potremo vedere “i nuovi cieli e la nuova terra” (Is 66,22) preparati da Dio.

Per il cristiano, il futuro incomincia già qui. L’impegno dominante della nostra esistenza deve essere proprio questo: essere fedeli già oggi al nostro futuro. L’attesa di un nuovo mondo, deve far nascere in noi il desiderio di migliorare questo povero vecchio mondo. “Non è onesto proporre la fede in una vita dopo la morte a chi non ha avuto la possibilità di vivere una vita degna dell’uomo prima della morte” (A. Pronzato). A questo ci impegna la speranza cristiana. Continuiamo, allora, il nostro cammino nel tempo, con questa certezza:

La vita ci è data per cercare Dio, la morte per trovarlo, l’eternità per possederlo(Jacques Nouet). Sapere di essere figli di Dio, significa di conseguenza sapere di essere ‘figli della risurrezione’ (Lc 20,36), perché l’amore di Dio ci genera sempre a una nuova vita, poiché Egli rimane fedele a coloro che gli appartengono. Per fondare questa fede Gesù cita un testo centrale della Torah di Mosè: Dio rivela il suo nome a Mosè affermando di essere il “Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe” (Es 3,6).

Dio è sempre il Dio di qualcuno; è il Dio che lega il Suo nome a quello degli uomini e alla loro storia. Dio non è un Dio solitario, lontano, assente, ma è un Dio di relazione, al punto che il legame d’amore che stringe con l’uomo diventa in qualche modo costitutivo del Suo stesso nome. Infatti, conoscere Dio non significa semplicemente domandarsi “chi è Dio”, ma più profondamente “di chi è Dio”.

Come ha scritto Paolo De Benedetti: L’uomo è così caro a Dio, che Dio in un serto senso prende il suo nome; infatti, che cosa significa Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe se non che Dio ha un nome soltanto in riferimento a coloro che egli ama? [ ] Questo nome indica la scelta irrevocabile che Dio ha compiuto di essere con noi, e di esserlo al cospetto del mondo”. È questa scelta irrevocabile di Dio, non i nostri tentativi umani di proiettarci di là da ogni limite, a donare stabilità alla nostra vita, addirittura oltre la morte.

Condividi su:

Seguici su Facebook