La data del 27 novembre 2017 rimarrà certamente nella cronaca di San Salvo e, probabilmente, anche nella sua storia: è stato sottoscritto con la città transilvana di TârnÄveni un âprotocollo di amicizia per costruire relazioni per favorire gli scambi tra le due comunità , promuovere e incentivare iniziative culturali, scolastiche, economiche, sociali, sportive e turisticheâ. Così testualmente recitava il comunicato diffuso in rete dallo staff del Sindaco per pubblicizzare lâevento.
La celebrazione di questo âgemellaggioâ (come si dice fra chi non fa uso di burocratese) si è conclusa in serata presso il Centro Culturale âAldo Moroâ dove la banda della Città di San Salvo e una nutrita rappresentanza delle comunità rumene di San Salvo e Vasto si sono alternate nellâesecuzione di brani musicali, recita di poesie in lingua rumena e italiana, danze popolari.
Particolarmente significativo lâavvio della serata: un ben affiatato coro di piccoli rumeni, accompagnato dalla banda, ha cantato entrambi gli inni nazionali, sancendo così (con buona pace delle polemiche sullo ius soli) il notevole grado di integrazione della comunità rumena nel contesto sansalvese. Risultato che in gran parte si deve al pluriennale lavoro svolto dallâAssociazione Socioculturale âDecebalâ presieduta da Sigismund Puczi dâintesa con lâex Assessore alla cultura prof. Giovanni Artese (come ha puntualmente sottolineato il sindaco Magnacca nel corso del suo saluto agli intervenuti).
Ma non sarà il racconto di questo avvenimento lâoggetto di questo mio odierno intervento, perché lascio volentieri questo compito a chi ne è deputato. Per me,. infatti questo gemellaggio costituisce soltanto lo spunto per svolgere alcune riflessioni su questa città dove, da quasi dieci anni, vengo a trascorrere periodi non brevissimi.
Già il 13 ottobre 2016, sempre da questo portale, mi ero affacciato per dire la mia su âsenso di appartenenza e identità cittadinaâ (leggi). In quellâoccasione partivo dalla constatazione che lâabnorme incremento demografico registrato a San Salvo negli ultimi 60 anni (+ 500%) aveva comportato un inevitabile meticciamento della popolazione con conseguente diluizione del senso di appartenenza ed evanescenza dellâidentità collettiva. Fatta salva, ovviamente, la componente originariamente sansalvese; una componente destinata, però, a diventare sempre più trascurabile minoranza.
Non posso (né voglio) immaginare che siano state quelle mie osservazioni a dare il via a ben quattro interessanti interventi del prof. Giovanni Artese, frutto invece della sua ben nota e ben più datata abnegazione, tutta spesa in laboriose ricerche per ricostruire la storia locale. Raccolti sotto il titolo âLe antiche mura e i tesori nascosti della nostra San Salvoâ, quegli interventi sono stati pubblicati su queste stesse pagine:
âAmbienti sotterranei del borgo medievaleâ (11 ottobre 2016) (leggi); âCripta di san Giuseppeâ (19 ottobre 2016) (leggi); âPalazzo Di Iorio-Brunoâ (27 ottobre 2016) (leggi); âQuartiere Garibaldi/Savoiaâ (10 novembre 2016)(leggi).
Perché li richiamo? Perché proprio lâapproccio alla storia locale, la sua âscopertaâ e la sua divulgazione (nelle più diverse forme e attraverso i più differenziati veicoli) potrebbero essere, a mio avviso, il lievito giusto per la crescita di una reinventata identità cittadina, secondo me non più rinviabile. Identità che dovrebbe costituire lâobiettivo primario della politica locale e di quanti altri dicono di avere a cuore la crescita socioculturale della città . Una identità che, sola, potrà (tra lâaltro) porre le premesse per la rivitalizzazione del centro cittadino, restituendo alla âpiazzaâ (ora desolatamente deserta) la sua naturale vocazione di luogo di incontro e scambio di idee fra gente che si conosce perché ha interessi comuni... altro che colonnine parcometri!
Nel mio già citato intervento del 13 ottobre 2016 mi riferivo specificamente alla più recente performance del locale complesso bandistico che aveva ottenuto una âpartecipazione corale di un pubblico numeroso e coinvolto fino ai limiti della commozione, come solo a una banda riesce di fareâ. Bene: quella stessa banda era protagonista della serata del 27 scorso. Ma il pubblico presente in sala era assai meno numeroso e in larghissima quota riferibile alla comunità rumena; pochissimi i sansalvesi, se si eccettuano le presenze istituzionali. La circostanza mi ha riportato alla mente considerazioni già fatte, che riconducono inequivocabilmente proprio a quella mancanza di senso di appartenenza e di identità collettiva di cui sopra. E mi spiego: quando sono a San Salvo cerco di partecipare a tutte le iniziative (ahimè, non sono certo tantissime!) promosse da Enti, Associazioni e privati, al di là di loro eventuali etichettature e a prescindere dallâambito cui si riferiscano. Ho dovuto rilevare, e mi dispiace molto, che generalmente la partecipazione a questi eventi è limitata ai soli... associati, adepti, coscritti, compagni di merenda di chi, di volta in volta, ne è lâorganizzatore. Mi chiedo, allora: che cosâè, questo, se non mancanza di senso di appartenenza cittadina? Senza, con ciò, voler criticare la âcompresenzaâ in città di non so quante diverse associazioni operanti nello stesso ambito (musica, lettura, fotografia, turismo e quantâaltro). Certo che no! Ma mi chiedo anche: quanto più proficuo sarebbe per ognuna di loro se lâassociazione âAâ partecipasse allâevento organizzato dallâassociazione âBâ o âCâ e viceversa? Anche questo faciliterebbe la circolazione e lo scambio di idee, per la crescita di tutti (singolarmente o in forma associata) e quindi dellâintera città .
Mi sono visto recapitare più volte critiche di ogni genere in conseguenza delle mie pubbliche esternazioni (che qualcuno, sbagliando, continua a chiamare provocazioni): nelle ipotesi più âindorateâ mi hanno classificato come illuso, visionario, utopista, megalomane. Fa parte del gioco, lo so bene. Ma siccome non credo di fare male a nessuno, insisto perché, invece, e sempre secondo me, forse fanno bene alla collettività . Ne sono quasi sicuro... se è vero che nessuno si è mai preso la briga di rispondermi, di dirmi che mi sbaglio, magari motivandolo.
Romolo Chiancone
Ringrazio il fotografo Gino Bracciale che mi ha concesso lâutilizzo delle sue foto.