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Appuntamento con lo sport: l’A.S.D. Raspa 1960

Seconda puntata per osservare più da vicino il ciclismo sansalvese

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Ad una settimana di distanza dal primo contatto con le biciclette che si aggirano spesso lungo le nostre strade siamo tornati a parlare di pedali, ruote e telai con il disponibilissimo Michele Raspa, fondatore nonché principale sponsor dell’ A.S.D. Raspa 1960.

L’intervista

La vostra prima di essere una vera e propria società è una scuola di ciclismo. Come e quando è nata questa idea?
Esatto, la scuola comincia a prendere la forma attuale nel 2013, da quando siamo riusciti a coprire più o meno tutte le categorie giovanili. Per portare avanti un discorso simile servono però dei tecnici preparati e specializzati per ogni livello di allenamento in base alla differente età degli atleti che si avvicinano al ciclismo tramite noi.
Al contrario la società nasce nel maggio del 2000 dall’idea di un gruppo di amici, spinti dalla passione per questo sport, essendo stati atleti a nostra volta. Poi nel 2001 io stesso ho preso l’abilitazione di direttore sportivo di primo livello.
Non ti nego infatti che la mia esperienza ciclistica è nata sin da quando ero bambino ed ho potuto coltivarla prima da atleta e solo dopo, come anticipavo, da direttore sportivo e tecnico. Quando abbiamo cominciato a sviluppare la scuola di ciclismo non c’era il vivaio, o meglio dopo noi non c’è stato il cambio generazionale. Siamo partiti da un ragazzo di San Salvo che correva a Chieti mettendo in piedi una prima squadra con il minimo di atleti possibile. Questo stesso atleta è poi diventato allenatore con noi, ma dopo poco  il “matrimonio” è fallito e da quel momento ho cominciato io stesso a specializzarmi prendendo i vari brevetti.
In seguito, precisamente nel 2004, abbiamo tentato una prima fusione con l’Ex Avis (attuale BCC), per delle vicissitudini poi abbiamo deciso di staccarci definitivamente portando avanti proprio la scuola di ciclismo. Le questioni non sono però finite qui giacché ho dovuto fare una scelta tra gli agonisti più grandi e il gruppo dei più piccoli proprio per una questione di gestione, essendo rimasto solo. Anche se in quel periodo i talenti erano molti, purtroppo, crescendo, la maggior parte ha smesso di pedalare.

Nella vostra squadra non siete tutti amatori, ma vi allenate solo in strada oppure anche in Mountain Bike?
Proprio così, non siamo solo amatori, ma molti sono gli agonisti che corrono con noi. Io ho cominciato a correre solo su strada perché all'epoca non c'erano alternative ma ho sempre pensato che una parte fondamentale dell'allenamento andasse portata avanti soprattutto sullo sterrato. Questo è un discorso che ho portato avanti negli anni ma solo ultimamente comincio a capire che la mia idea non era così sbagliata. La conferma l'ho avuta nel momento in cui ho seguito il corso da maestro di Mountain Bike vedendo la questione anche dal punto di vista tecnico. Non ti nego inoltre che ho sempre ammirato i grandi campioni completi, coloro che vanno forte un po' su tutti i terreni. 

Come abbiamo detto puntate molto sul settore giovanile, qual è l'età media dei ragazzi iscritti con voi e quali sono i riconoscimenti ottenuti?
Ormai siamo riusciti ad allargare a tutte le età la scuola di ciclismo, non a caso i nostri iscritti hanno un'età compresa tra i cinque e i sedici anni. Attualmente abbiamo un totale di circa trenta iscrizioni, ed è un buon risultato considerando che abbiamo ricominciato a pieno regime solo dallo scorso marzo. Al contrari negli anni che vanno dal 2006 al 2012 circa abbiamo avuto diversi ragazzi agonisti che hanno gareggiato anche a livello nazionale, nelle categorie allievi e juniores. Non erano tutti ragazzi di San Salvo ma fortunatamente siamo riusciti ad arrivare sino a tredici atleti originari della nostra città. Per quel che riguarda i riconoscimenti, io sono sempre del parere che il ragazzo non deve necessariamente vincere ma deve divertirsi. Ecco perché non mi piace nemmeno utilizzare la parola vittoria perché tutto sta nella convivialità. Inutile precisare che se il giovane atleta vince molto e molto presto spesso non riesce a fare quel salto di qualità che lo porterebbe al professionismo. Purtroppo, devo aggiungere che spesso, i genitori, rappresentano una forte componente che spinge l'atleta ad abbandonare lo sport perché cercano di avere il campione ma una volta spremuto il ragazzo perde facilmente le motivazioni.

Se qualcuno volesse intraprendere un percorso ciclistico con te e la tua squadra come può fare?
Per questa cosa basta contattarmi per fare una chiacchierata e magari capire quello che si vorrebbe fare. Come avrai notato sulla nostra pagina di facebook abbiamo postato anche un modulo di iscrizione che è solo una formalità, giusto per ottenere le informazioni necessarie alla corretta registrazione per dare il via alle attività. Poi solo con il passare del tempo si comincerà a capire come organizzarsi con il ragazzo.

Secondo te il ciclista deve possedere doti particolari?
Secondo me no. Ovviamente una parte fondamentale è la passione ma non sempre è sufficiente. Soprattutto in età giovanile penso che la cosa fondamentale sia il gruppo; non a caso ho visto ragazzi che una volta perso il gruppo con cui si allenavano non hanno avuto la forza di continuare. Questo farebbe pensare alla necessità di possedere un forte spirito di sacrificio ma non è detto che sia sufficiente, come la passione. A meno che non ci sia qualcosa che spinga l'atleta ad andare avanti anche da solo non c'è ragione che tenga e inevitabilmente si allontanerà dallo sport.

Parlando di una questione che sta tornando alla ribalta con il caso Pantani, vorrei chiederti qual è la tua posizione rispetto al doping.
Purtroppo questa è una piaga che affligge il ciclismo da moltissi anni ormai. Si è passati addirittura in un'epoca durante la quale doparsi era quasi un obbligo per poter tenere certi ritmi. La differenza rispetto ad oggi è che comunque, quando si parla di professionisti, è vero che qualcosa gira nell'ambiente ma per loro fortuna sono, quasi paradossalmente, molto controllati. Ti basti pensare che i ciclisti devono dichiarare anche i luoghi in cui mangiano proprio per evitare contaminazioni; è chiaro che poi coloro che somministrano certe sostanze sono proprio all'interno dell'ambiente ciclistico, a partire dai direttori sportivi. Al contrario è molto più grave quando si tratta di amatori che usano il doping, questo perché i controlli sono molto più scarsi ma soprattutto rischiano di farsi male per ottenere il premio esiguo delle competizioni a cui partecipano. Parliamo del famoso prosciutto o della coppetta di plastica che poi nessuno ricorderà.

Conoscendo questa situazione, tu consiglieresti ad un giovane la carriera professionistica?
Perché no. Bisogna comunque stare attenti a quello che gira intorno ma in linea di massima se un ragazzo ha il talento non vedo perché non dovrebbe provare la carriera sportiva. Non è neanche detto che poi detta fare l'atleta a vita, può comunque rimanere nel giro facendo le cose più disparate, come il massaggiatore, il direttore sportivo, il meccanico e quant'altro.

Passando ad un aspetto puramente tecnico, le biciclette sono ormai sempre più performanti e vengono costruite con i materiali più leggeri che esistano. Considerando questo, secondo te, il mezzo può fare la differenza o sono le gambe il vero motore?
Bè si ormai si è arrivati ad un livello di sviluppo particolarmente alto, tuttavia se dovessimo fare un discorso ponendo due atleti simili in tutto e per tutto su due biciclette differenti, ovviamente quello che ha il mezzo migliore sarebbe avvantaggiato. Tuttavia non si possono fare i miracoli quindi effettivamente sono sempre le gambe che spingono sul serio.

Siamo in dirittura di arrivo. Quali sono le gare che ti hanno appassionato di più, sia da atleta che da spettatore.
Rispondere a questa domanda non è semplice. Dunque, sicuramente alla gara che ha fatto nascere in me la passione per il ciclismo risale a moltissimi anni fa. Mio padre mi portò ad assistere a una gara dei professionisti a Paglieta, alla quale partecipò anche Taccone. Rimasi affascinato dalle tribune naturali create proprio perguardare la gara e da quel momento, anche se ho avuto la possibilità di praticare altri sport, sono sempre tornato verso la bicicletta. A proposito una gara a cui ho partecipato in prima persona che mi ha emozionato particolarmente risale a quando ero nella categoria Dilettanti. Ero a San Paolo Civitate e il percorso era un circuito. Appena partì la gara andai subito in fuga e tagliai per primo tutti i traguardi volanti posti dalla direzione. Purtroppo, a pochi chilometri dalla fine fui ripreso da un gruppetto di avversari e non ce la feci a vincere l'ultima volata terminando in seconda posizione.
La cosa che mi porto dentro con un certo orgoglio è il fatto di aver gareggiato da solo senza una squadra che mi seguisse. Come detto arrivai secondo alle spalle di un certo Nardelli che ebbi modo di incontrare di nuovo diversi anni dopo, non senza piacere.

Ultimissima domanda: il tuo idolo?
Attualmente un atleta che mi piace molto è Peter Sagan per un motivo molto semplice: nasce con il ciclocross. Torniamo quindi all'idea che ti dicevo prima dell'allenamento non esclusivamente in strada che io porto avanti da diversi anni ormai. Purtroppo nel nostro paese sotto questo punto di vista siamo ancora parecchio indietro visto che ci ostiniamo ancora a portare avanti vecchi metodi di allenamento ma per fortuna qualcosa sta lentamente cambiando. Al pari di Sagan mi piace molto anche un italiano, il sardo Fabio Aru, tra l'altro compagno di squadra di Vincenzo Nibali. Anche lui, come Sagan, è nato con il ciclocross e secondo me questo tipo di atleti è di gran lunga il più completo.

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